Un esperimento per scoprire una città quando (forse) nessun altro vuole farlo.
Fare street photography è sempre bello ed interessante. Bisogna adattarsi velocemente ai valori di luce, bisogna cambiare lente, camminare, affrontare sguardi torvi ma anche molti sorrisi. Però…
Però quasi tutti gli street photographers escono col sole (come dargli torto…), quando magari c’è la luce migliore, la “golden hour”, o quando belle ragazze si rinfrescano alle fontane mostrando metri di pelle liscia. O magari quando nevica (e allora li vedi spuntare come funghi!).
A me, però, piace la pioggia. Piace il rumore che fa col suono, piace il rumore che fa con la luce, tra riflessi e rimbalzi ed il luccichio dei colori, e poi mi piace la sua dinamicità, come porta le persone a correre, a proteggersi, ed a colorarsi, a ridere dei capelli bagnati (ma anche a volte anche a disperarsi dei sellini fradici).
Per questo ho deciso di avviare un nuovo progetto fotografico di street photography, approfittando anche di essere “ospite” al momento di una delle città con il maggior numero di portici al mondo (e come diceva Dalla “Piove molto forte ma tanto non mi bagnerò”), per dare luce a una città quando tutti sono in casa all’asciutto, per dare una carezza a questa signora quando si gira a piangere, convinta che non la veda nessuno.